Ritorno alle origini?

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Siamo realisti: la Chiesa Cattolica come la conosciamo oggi può davvero tornare alla povertà e all’evangelizzazione delle origini? La risposta immediata è no.

Tuttavia il nuovo Pontefice sembra aver ridato un minimo di dignità e anche un pizzico d’orgoglio all’istituzione religiosa millenaria più conosciuta al mondo. E sin dal giorno della sua elezione al soglio petrino: il nome innanzitutto, mai nessun papa aveva scelto il nome del poverello d’Assisi Francesco; altri gesti simbolici visibili a tutti sono stati la rinuncia alla croce d’oro e alla mozzetta di velluto rosso con il bordo di ermellino.

Ma le novità principali non finiscono qui. Le continue ‘frecciatine domenicali’ e non, sembrano essere il preludio di un’autentica rivoluzione, scagliate in questi mesi contro il denaro, la finanza, le banche, una su tutte: lo IOR la Banca Vaticana, ben nota agli italiani per il suo coinvolgimento in numerosi scandali (dall’affare Sindona al recente Vatileaks). Il commissariamento dell’Istituto e le dimissioni del direttore Cipriani e del suo vice sono solo l’inizio. Bergoglio è intenzionato a fare pulizia e, impossibilitato nel sopprimere l’ente, a renderlo quantomeno il più trasparente possibile.

Dallo spinoso e vergognoso fronte pedofilia, l’allontanamento del cardinale scozzese O’Brien, reo confesso di abusi sessuali su alcuni seminaristi, sembra dare quel segnale di ‘tolleranza zero’ promessa dal nuovo Vescovo di Roma. Basta dunque con i sistemi mafiosi di protezione omertosa dei preti pedofili e di screditamento e isolamento delle vittime di abusi. Ciò nonostante tolleranza zero per noi vuol dire denunciare e consegnare i colpevoli alla giustizia, togliere loro immediatamente lo stato sacerdotale e far risarcire le vittime dalla diocesi di appartenenza.

Il recupero della credibilità passa anche per queste tappe obbligate, senza dimenticarsi dell’annuncio della Parola, da far coincidere con azioni concrete quotidiane come affermato dallo stesso Pontefice: «Ricordiamolo bene tutti: non si può annunciare il Vangelo di Gesù senza la testimonianza concreta della vita. Chi ci ascolta e ci vede deve poter leggere nelle nostre azioni ciò che ascolta dalla nostra bocca e rendere gloria a Dio!»

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Stati Uniti d’Europa: work in progress

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Alle mezzanotte di oggi la Croazia sarà il ventottesimo paese ad entrare a far parte dell’Unione Europea. Una speranza per la popolazione croata che vuole riscattarsi dall’isolazionismo iniziato nel secolo scorso alla fine della seconda guerra mondiale. A Zagabria spetteranno per il rilancio dell’economia circa 123 miliardi di Euro da qui al 2020, non male per un paese periferico notevolmente in crisi, ma l’adesione alla moneta unica non sarà immediata.

La vera notizia tuttavia non è questa: l’Europa (Germania in testa) mostra i denti agli Stati Uniti dopo i recenti scandali “Datagate”. La National Security Agency americana ha spiato le più alte autorità europee, dalla Bce alla Commissione passando per gli stessi capi di governo, in perfetto stile Cold War, con tanto di 007 e microspie, oltre ad intercettazioni telefoniche,di mail e chat. Crisi economica a parte, sembra essere questo il primo vero banco di prova dell’Unione Europea, non solo monetario dunque ma anche politico-istituzionale.

Che tutto ciò sia stato organizzato ad arte nel momento in cui nei singoli stati nazionali dell’UE emergono movimenti e partiti anti-europeisti non ci è ancora dato saperlo. Quello che sappiamo è che il Presidente dell’Europarlamento Martin Schulz ha dichiarato all’Ansa “è uno scandalo enorme, Washington chiarisca”. I sospetti dunque che questa sia solo la punta dell’iceberg sono molti. Nel frattempo Edward Snowden è ancora ‘bloccato’ in Russia in attesa di una risposta di asilo dall’Equador, mentre Amnesty International fa sapere che nel caso in cui l’ex dipendente dell’NSA verrà riportato negli Stati Uniti sarà esposto a un ‘grande rischio’ di violazione dei diritti umani.

La difesa Americana sembra quasi banale: “vogliamo proteggere la sicurezza e garantire l’incolumità di centinaia di migliaia cittadini statunitensi” garantendo che nessuna violazione è stata compiuta e di aver inoltre sventato, grazie al programma di sicurezza, una cinquantina di possibili eventi terroristici. Tutto ciò non sembra però giustificare l’etichetta “Target” (bersaglio) affibbiata all’Europa e riscontrata in un documento top secret dell’NSA. Strano! In Europa non si parla ne il persiano ne il coreano.

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2013: anche i ‘grandi’ ci lasciano

Da Hugo Chavez a Margherita Hack, quest’anno denso di cambiamenti sembra volerci proprio ricordare questo: nessuno è esente dal lasciare questo mondo, neanche coloro che hanno fatto la storia.

Così El Comandante venezuelano Hugo Chavez che ha fatto impallidire gli Stati Uniti, e un pò tutto l’occidente, con le sue politiche socialiste-democratiche, autentico leader, definito dalla critica populista e autoritario si è spento il 5 marzo per un infarto causato dalle precarie condizioni di salute in seguito al cancro.

A livello internazionale ricordiamo anche la scomparsa di Margaret Thatcher, avvenuta l’8 aprile. La Lady di ferro, primo ministro donna della Gran Bretagna dal 1979 al 1990, aveva 87 anni. Malata da tempo di Alzheimer in patria viene ricordata per le sue battaglie alla statalizzazione e allo smantellamento dello stato sociale, in un’ottica di selvaggio liberismo e ringiovanimento delle istituzioni.

In Italia l’elenco è molto lungo, un nome su tutti: Giulio Andreotti, sembrava davvero aver stretto un patto col diavolo; il politico per antonomasia, colui il quale ha ricoperto un numero interminabile di incarichi istituzionali, dalla nascita della Repubblica al 6 maggio 2013, giorno del trapasso, era stato infatti nominato Senatore a vita nel 1991 dal PdR Francesco Cossiga.
Personaggio discutibile per i legami con la mafia, la massoneria e i servizi deviati. Tanti, troppi i segreti della prima repubblica, mai rivelati, che si è portato con se.

E’ opportuno tuttavia ricordare altri grandi Italiani scomparsi quest’anno che hanno dato lustro al Paese in diversi settori: per lo sport Pietro Mennea, la Freccia del Sud oro olimpico a Mosca nel 1980, morto a Roma il 21 marzo; per la moda Ottavio Missoni, dagli anni 60 in poi affermato stilista riconosciuto ed apprezzato in tutto il mondo, morto a Sumirago all’età di 92 anni; per il teatro Franca Rame, moglie del premio Nobel Dario Fo, dedita alla recitazione sin dalla nascita. Fu anche Senatrice durante la XV legislatura. Non possiamo poi dimenticare Stefano Borgonovo, scomparso il 27 giugno, calciatore di Milan e Fiorentina, colpito da sclerosi laterale amiotrofica nel 2008 ha dedicato il suoi ultimi anni di vita per promuovere la ricerca sulla SLA tramite la sua Fondazione. L’elenco (purtroppo ma inevitabilmente) non finisce qui: è di queste ore la notizia della morte di Margherita Hack astrofisica e divulgatrice scientifica, ha portato alla ribalta internazionale la comunità astronomica italiana, oltre ad aver sostenuto un’intensa attività sociale e politica non senza polemiche.

“Sic transit gloria mundi!”. Vani ed effimeri sono il potere, la notorietà, il denaro. A nessuno è dato sapere quando scatterà la propria ‘Ora X’. Una cosa è certa: la morte pareggia ogni conto, che tu ti chiami Bianchi Smith El Said, che tu ti chiami Savoia Windsor Pahlavi.

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La pubblica (d)istruzione

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C’era una volta la scuola pubblica italiana. Oggi di quel sistema scolastico, un tempo apprezzato in tutto il mondo, è rimasto ben poco. Dal 1945 in poi è stato un continuo susseguirsi di riforme che hanno inciso, nel bene e nel male, sul patrimonio culturale degli italiani.

La riforma Gentile del 1923 pose le basi del moderno sistema italiano, introducendo esami di Stato, molto selettivi e severi, al termine di ogni ciclo di studi; venne istituito l’obbligo scolastico a 14 anni (poco attuato se non dopo il 1963); la scuola superiore venne divisa in Istituti tecnici e Licei (solo quest’ultimi garantivano l’accesso all’Università). Con una concezione quasi militare, aristocratica e parecchio condizionata dal Cattolicesimo (in linea con i tempi) la riforma non ridusse drasticamente l’alto tasso di analfabetismo che dilagava nel Paese.

Con la fine della guerra e del regime, e l’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica Italiana, si comprese che non era possibile lasciare intriso di nocivi e antidemocratici retaggi fascisti un settore così delicato e di fondamentale importanza. “La scuola deve riformare se stessa” diceva il ministro Gonella, che avviò un indagine conoscitiva sulla situazione scolastica generale della Repubblica. Il suo obiettivo era coinvolgere il corpo docente (in crisi d’identità) ed evitare imposizioni calate dall’alto, promuovendo quel principio di partecipazione del nuovo Stato democratico. E fu sulla scia di questi principi che nel ’51 venne introdotto un nuovo insegnamento “Educazione Civica”, per i cittadini del domani.

Tra la fine degli anni 50 e l’inizio degli anni 60 venne unificata la scuola media che permetteva così l’accesso a qualsiasi scuola superiore, applicando finalmente l’obbligo scolastico dei 14 anni, formalmente in vigore, ed il principio sancito dalla Costituzione (Art. 34 “[…] L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.”) e vennero progressivamente sostituite le classi mono genere con quelle miste.

Toccò quindi alla stagione dei movimenti studenteschi, che liberalizzò l’accesso all’Università, introdusse le rappresentanze degli studenti, dei genitori e del personale ATA ed integrò la figura dell’insegnante di sostegno per i portatori di handicap. Fu una vera e propria ventata di freschezza in un sistema vecchio di decenni.

Dagli anni 80 in poi la “battaglia” si giocò non tanto sulla qualità degli insegnamenti, quanto sulla quantità, e sul numero degli insegnanti. La scuola venne usata come un vero e proprio ammortizzatore sociale (oltre che controparte clientelare), ed è proprio qui che va ricercata la causa del problema attuale dell’immensa mole di precariato in questo settore.

Nel 1996 il neo ministro Berlinguer (ex rettore dell’Università di Siena) tentò un cambiamento radicale del sistema scolastico italiano: un doppio ciclo di studi, primario e secondario, da sei anni ciascuno, con l’obbligo di una formazione professionale sino ai 18 anni e conseguimento di un diploma. La riforma entro in vigore nell’anno scolastico 98/99, ma non fece in tempo a fare rodaggio che venne formalmente abrogata nel 2003 con la riforma Moratti. Questa riportò di fatto alla situazione precedente, con una riduzione dei finanziamenti stanziati, delle classi e del monte ore di lezione complessivo; l’obbligo si tramutò in semplice “diritto all’istruzione fino a 16 anni”. Il quadro è peggiorato ulteriormente nel 2008 con la Riforma Gelmini: reintroduzione del “maestro unico” nella scuola primaria, ulteriore diminuzione delle ore di lezione, riduzione del 7% circa dei fondi destinati all’Università.

L’interesse economico com’è evidente ha prevalso sul quello culturale ed etico che è alla base di ogni società che si considera evoluta. E se non avverrà un cambio di tendenza nei prossimi mesi, difficilmente ridurremo ad esempio il gap con i sistemi scolastici adottati nell’Europa del Nord (si pensi al sistema scolastico Finlandese). Investire sulla scuola vuol dire investire sul futuro, sulle generazioni che verranno e che erediteranno questo Paese, ed è da apprezzare dunque l’atteggiamento positivo del neo ministro Carrozza che ha minacciato dimissioni da ruolo nel caso in cui non verranno stanziati ulteriori fondi per la scuola pubblica. Sperando che non sia solo retorica, ovviamente.

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Consideriamo la nostra semenza

Questo blog nasce da un’esigenza: quella di coltivare una piccola passione giornalistica, forse infruttuosa ma sicuramente lenitiva di quel malessere interiore nell’assistere quotidianamente all’involuzione della dignità umana, svenduta in cambio di chissà quale effimero bene materiale.
La flebile speranza viene alimentata da tutti coloro i quali, come Romeo di Villanova mendicano la loro vita “a frusto a frusto” e se solo il mondo sapesse… “assai li loda, e più li loderebbe“.

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